Com'era prevedibile, in questi giorni di campagna elettorale lo spazio dato dalle testate giornalistiche, televisive e non, alla corsa alle Presidenziali americane, è calato bruscamente, per sparire del tutto in alcuni casi. Noto da un lato una sempre maggiore omologazione dei modi di fare la campagna elettorale qui in Italia "all'americana", cioè capendo in primis che la politica ha bisogno alla base di una massiccia dose di comunicazione e di marketing. Quando nel '94 Berlusconi "scese in campo" tutto sommato questi fattori erano ancora visti come roba da baraccone da una classe politica allora molto diversa da quella attuale. Poi si è capito, oltre al fatto che l'unico lato positivo del Cavaliere sia quello di essere un grandissimo comunicatore, che questi fattori non potevano prescindere dalla corsa alla conquista di voti. Parallelamente, come tradizione "loro", gli americani tendono a spettacolarizzare praticamente tutto. Noi fortunatamente oserei dire, per ora corriamo un po' defilati da questo punto di vista, anche a causa dell'enorme diversità dei "bacini d'utenza", la dimensione dell'elettorato.
Ma la differenza principale tra i due Paesi, oltre ovviamente al fatto che il Presidente degli Stati Uniti è anche il Primo Ministro/capo dell'esecutivo, sta secondo me qua: il Presidente degli U.S.A. è l'espressione delle multinazionali e dei poteri economicamente "forti" del Suo Paese. In questo senso ne è un portavoce, un individuo eletto da una cerchia di soggetti economico-politici che hanno tutti gli stessi interessi. E per sostenere una corsa alla Casa Bianca ci vogliono, com'è prevedibile cifre enormi. Allora i casi son due: o il candidato è ricchissimo di suo, proprio perchè attore in prima persona dell'economia statunitense e quindi parte egli stesso della "macchina", oppure è un uomo di fiducia di altri che gli finanziano la corsa presidenziale. E allora diventa prevedbile che in questo caso una volta eletto, egli farà gli interessi di queste lobbies. Così tra l'altro si spiegherebbe la guerra in Iraq.
In Italia non è così. Non esistono grandissimi poteri economici dietro alla presentazione di un candidato, c'è ancora il sano campanilismo ideologico degli anni '50, c'è l'eterna contrapposizione tra destra e sinistra, anche se l'eccessiva frammentazione di questa campagna elettorale può creare confusione. Semmai Berlusconi più che costituire espressione di forti poteri economici alle sue spalle, è auto-espressione di un enorme interesse PERSONALE che è il vero motivo per cui egli continua, stanco settantenne e nemmeno più tanto convinto e combattivo (come osservato da più voci della stampa e della televisione in questi giorni) a candidarsi alla guida di un Paese che non ce la fa più. Continuando con il paragone italo-americano, allora emerge il fatto che Veltroni si presenti un po' come l'Obama italiano, avendo mutuato dal suo collega americano anche lo slogan "YES WE CAN" ("si, noi possiamo") che è diventato un italianissimo "SI PUO' FARE". Altra cosa, il PD lo scorso 14 ottobre candidò Veltroni formalmente proprio in seguito a delle elezioni primarie "all'americana".
Nessun commento:
Posta un commento